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Marco va in rete

(Da “Gente di Santa”, cap XIV) Il rientro pomeridiano per Marco è sinonimo di divertimento. Fare educazione fisica significa niente compiti e soprattutto giocare a pallone. Quella non è scuola, è una vera figata. Stare in campo lo trasforma, lo carica di energia, gli dà voglia di parlare e ridere. E’ una sorta di miracolo che lo riconcilia col mondo. La partita: dev’essere stato proprio un genio l’inventore del calcio. Per le altre cose Marco preferisce star solo, ed ha come l’impressione di non riuscire a condividere le sue cose con gli altri. Specie da che Sergio, il suo compagno di banco fin dalla prima, si è trasferito di scuola. Con lui aveva legato davvero. Lui era il suo unico amico-amico. Ora invece Marco è spaesato, stordito, e gli pare di non poter trovare mai più un amico del cuore.

Marco è un attaccante nato: un bomber d’altri tempi, uno da album delle figurine. Perciò vuole stare avanti e segnare, e si arrabbia e tutte le viscere laggiù gli si contorcono quando il maestro lo mette in difesa. E’ un affronto troppo brutto, uno spreco da matti. Ed allora diserta e si lancia in attacco, sbuffando come un toro infuriato, e se il mister lo rimprovera lo manda a quel paese col braccio. Così anche i compagni, anche se di loro ha maggiore rispetto. Quando la vince, e finalmente lo mettono punta, urla e chiama palla da qualsiasi parte del campo e dice talmente tante parolacce che il maestro deve minacciare la sostituzione per farlo smettere. Ma anche così, i risultati sono scarsi. In panchina, poi, farebbe un macello. Magari piangerebbe e il maestro si sentirebbe colpevole e cattivo. Ma lo sport è anche questo, e quel diavolo di un bambinastro deve capirlo.

Marco recupera palla, fa due passi, scarta l’avversario sulla destra e lancia lungo sulla sinistra un compagnetto, che però perde il contrasto. Marco urla e dice: “Ma cavoli, dalla!” Perdono uno a zero, il gol l’ha fatto di testa l’attaccante dopo una respinta maldestra del portiere. La partita è confusa, Marco sta in difesa e ne ha le scatole piene. Ma perché l’allenatore è così cocciuto? E perché Vincenzo si mangia tutti quei gol? Se potesse giocare in attacco la vedrebbero gli avversari: li punirebbe ogni volta che fanno un errore. E invece deve entrare in scivolata e mandare in calcio d’angolo l’ennesima incursione di Nicola, che batte rapido ma fortuna che Ilario stavolta esce bene.

Il portiere rilancia lungo, Vincenzo dialoga con Luca, poi riprende palla e tira: parata! Marco si batte la coscia, ancora un’occasione mancata. Se la partita finisce così quelli lì sfotteranno per tutta la settimana. Deve passare in attacco, deve segnare. Il difensore avversario ha fatto fallo di mano poco fuori dalla sua area. Batte Nino, che ha una bomba. Tira bene, Pino devia ed è rete! Uno pari, finalmente. Marco corre e saltando come un grillo abbraccia il compagno. “Vai che vinciamo!”, grida tirandogli la maglia.

C’è un gran caldo. Marco è sudatissimo. Si avvicina alla panchina e si fa dare un po’ d’acqua. Mancano cinque minuti alla fine della sfida. Marco chiede per favore al mister di metterlo davanti. Solo per stavolta, dice che se oggi lo fa andare la prossima partita nemmeno lo chiederà. Giocherà zitto zitto in difesa e non dirà nemmeno una parolaccia. L’allenatore guarda il cronometro. In effetti la gara è finita. E sebbene Marco non si comporti poi tanto bene con lui, cosa gli costa accontentarlo? Ci pensa su un attimo, chiama Vincenzo indietro, guarda Marco e gli dice: “Vai!”

A Marco non sembra vero. Sono cinque minuti, ma adesso è libero di mostrare quanto vale. Il portiere avversario rinvia, Marco rienta a centrocampo a contrastare, tocca palla e la dà indietro. Ora è il suo difensore che può rilanciare, ma lo fa sulla sinistra, dove sta Nino, che prova a scartare ma perde palla. L’azione riparte da Giorgio, il difensore avversario. Giorgio serve Emilio, che poi passa avanti ma la palla è in fallo laterale. Batte Vincenzo, indietro sul portiere. Ilario rilancia lungo ed ecco Marco che stoppa, col marcatore che gli sta dietro, incollato. Marco deve voltarsi, è spalle alla porta. Nino si smarca e gli viene incontro, Marco lo serve e scatta avanti per chiudere la triangolazione. Nino gli appoggia piano la palla su un piatto d’argento. Marco è solo davanti al portiere: una finta, una seconda finta, il portiere è a terra. Marco può sistemare la palla di piatto nell’angolino destro. E’ rete.

“Gol”, urla Marco che corre per tutto il campo e si toglie la maglietta e la fa ruotare. Immagina di stare in pieno Sant’Elia, contro il Milan o la Juve, o l’Inter. Ed il popolo dello stadio urla il suo nome, e il cartellone si illumina ed è ancora il suo nome a campeggiare a lettere luminose, ed i telecronisti impazziscono. E’ festa, è festa, Marco ha segnato, Marco aveva ragione, è un attaccante nato. I compagni gli sono addosso, festeggiano con lui, dicono: “Grande Marco”. Lui raggiunge l’allenatore e si bacia il dito indice e glielo punta contro. Un po’ è una dedica, un po’ è una rivalsa, un po’ un avvertimento.

(Roberto Mura, settembre 2007)

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